isjungfrun ha scritto:si in effetti mi sembra che sia sparito giustappunto un bel salame d'alce che era giu in cantina e che tenevo per le occasioni importanti....chissà....
magari è stato quel golosone di jovan?
se non salta fuori neppure col trasloco giuro che lo rincorro con l'ascia in mano per tutta casa!!!!!!!!!!!!!
…E va bene, confesso…
Era una notte d’ agosto, una di quelle notti d’ agosto ma vichinghe; il ghiaccio ricopriva il prato fuori le mura, facendolo scintillare ai riflessi della torcia. Ogni passo su quell’ erba produceva il rumore di sottili vetri infranti.
Rientravo alla nostra rocca dopo una serata spesa in tav… passata in esplorazione, per scoprire eventuali accampamenti invasori nei dintorni; il passo era incerto e dondolante e la vista doppia, ma solo a causa della fatica per l’ impegno profuso nel compito a me affidato.
Odino nella sua benevolenza aveva fatto sì che nessuno ci minacciasse, e rincasavo pertanto tranquillo con una bottiglia d’ idromele per annunciare degnamente la lieta novella.
Pronunciata la parola magica per aprire il portone (parola che quella sera mi sembra fosse l’ intera Trollhammaren dei Finntroll, o era forse un rutto, non ricordo bene) mi accingevo quindi ad entrare quand’ ecco che, con la coda dell’ occhio, alla feritoia inferiore notai un movimento sospetto, seguito a breve da un ancor più allarmante clangore d’ armatura.
“Ah, un sicario del Re delle orchestre di liscio, senza dubbio!”, pensai con tutto l’ acume rimastomi dopo i litri di… acqua bevuta in quella stancante giornata.
Entrai di corsa dirigendomi nel corridoio a sinistra, quello che porta direttamente alla stanza del Re e della Regina. Non mi spaventava il dover affrontare chissà quale abilissimo assassino, e anche avesse dovuto spaventarmi non ne avrebbe avuto il tempo; dovevo evitare una tragedia.
Il corridoio era buio, tetro, spaventevole e pieno di curve. Sì, miei signori, so che è lo stesso corridoio che ora vediamo diritto ed illuminato a giorno dalle torce; ma evidentemente un arcano malefizio era stato approntato dal sicario, il quale doveva evidentemente essere anche versato nelle arti magiche. Cionondimeno lo percorrevo a spron battuto e con passo sicuro. Beh, non proprio in linea retta, forse, ma sulle pareti si rimbalza bene.
Arrivai di fronte alla porta intagliata dalla Regina giusto in tempo per vedere un uomo in armatura armeggiare con la spada per scassinare il chiavistello.
“Oh tu, ignobile assassino, lascia stare quell’ indifesa porta e prenditela con uno della tua stazza!” gli urlai tra un rutto e l’ altro.
Egli si voltò verso di me, spaventato nonostante, all’ interno dell’ armatura, mi superasse in altezza di almeno il doppio.
Terrificante era l’ aspetto del suo elmo alla luce della luna, con quell’ espressione di volto distorto in un grido di dolore che l’ elmo stesso recava. Ampio lo svolazzare del suo mantello, e ben visibile sul pettorale la scritta “every day I kill a dragon” fatta con un uni-posca indelebile.
Benché fosse, come detto, tremante di fronte al mio sguardo (un po’ vacuo, ma traboccante ira), forse rincuorato nel vedermi disarmato, egli levò in alto la sua spada di smeraldo, imbracciò lo scudo e, con una voce degna di Cristina d’ Avena, m’ invitò a pormi in posizione di guardia.
Come detto, non avevo con me armi; tentai di afferrare la bottiglia d’ idromele, ma non era più alla mia cintola. Era invece un paio di metri dietro di me, a terra e vuota. Altro malefico incantesimo, senz’ ombra di dubbio.
Mi si lanciò contro di gran carriera, animato dal suo canto di guerra che parlava di vento nero, fuoco ed acciaio.
Mi dovetti limitare a schivare i suoi fendenti ed affondi, indietreggiando lungo il corridoio; ogni passo da lui compiuto verso di me era un passo che lo allontanava dalla stanza dei regnanti, perci continuai sino all’ androne. La sua abilità era sorprendente, eppure non lasciò che graffi sulle pareti, coi suoi vani tentativi di colpirmi.
Ero convinto che avrebbe aprofittato del portone ancora aperto per darsi alla fuga, ed invece una volta giunti nella grande sala infilò due dita nello spioncino dell’ elmo per emettere un lungo ed acuto fischio; di lì a poco, mentre ancora menava spadate e mentre ancora io le schivavo, ecco che si avvicinava un furioso scalpiccio di zoccoli.
Illuminato dalla luna, al portone si affacciò impennando un unicorno bianco.
Fiero era il suo sguardo, pur tuttavia palesando un limitato quoziente intellettivo; impressi a fuoco su ambo i fianchi recava gli stemmi del male supremo, questi:
Dei raccapriccianti neon azzurri adornavano zoccoli, criniera e briglie; decalcomanie fiammeggianti erano alla base del collo e sui glutei.
Il cavaliere saltò in sella al ridicolo destriero, prima di riprendere i suoi attacchi.
Non potendo contrattaccare, continuai ad indietreggiare schivando i suoi colpi, sino a che ci ritrovammo alla cima delle scale che conducono alla cantina.
Gli voltai le spalle per lanciarmi di corsa verso il seminterrato, e come calcolato prontamente egli mi seguì; la luce proveniente dai neon impedì tuttavia alla bestia di inciamparsi negli scalini, mandando a monte il mio piano.
Ci trovavamo ora l’ uno di fronte all’ altro, occhi negli occhi; l’ animale sbuffava, battendo a terra lo zoccolo anteriore destro. L’ armato si preparava ad una carica, senza dubbio alcuno.
Con un acuto urlo (qualcosa come “saluta ed uccidi”) lanciò l’ unicorno verso di me, spada in resta. Sorprendendolo schivai in tuffo al mio fianco, e per grazia di Thor la mia mano si posò giusto sul salame d’ alce, che per un breve attimo rifulse di luce dorata.
Levai il salame al cielo, ringraziando gli Aesi tutti (abbreviando i nomi ed usando i cmq ed i xchè, per guadagnare tempo); strinsi saldamente l’ elsa del salame, ed un ghigno furente si dipinse sul mio volto mentre, finalmente armato, potevo lanciarmi all’ attacco del mio avversario. Forse sarei morto, ma nel qual caso sarei sicuramente approdato alle dorate sale dove gli Einherjer banchettano.
La lotta fu violenta e senza risparmio d’ energia; la spada di smeraldo ed il salame d’ alce cozzavano con vigore sprizzando scintille. Risalimmo al contrario le scale ancora ad armi incrociate, ero deciso a trascinare il mio avversario in campo aperto; ci riuscii, a quanto pare il mio avversario difettava in astuzia.
Ero ora finalmente libero di attaccare senza preoccuparmi di svegliare, col fragore dei colpi e delle urla, gli altri miei Fratelli in Odino.
Un colpo, ed il salame tranciò di netto il corno all’ animale (o meglio, fece saltare il nastro adesivo da elettricista con il quale il corno era fissato alla testa del povero cavallo); un colpo, e lo scudo del mio rivale (scudo che pareva forgiato nelle miniere dei nani, e che invece rivelava ora la scritta interna “made in China – scudo omaggio con la rivista “Essere Paueroni Oggi”, non vendibile separatamente) andò in frantumi; un terzo colpo, così violento da spezzare il salame, lo disarcionò; la spada volava alcuni metri più in là, conficcandosi in un emo di passaggio che, rallegrato, gioiva.
Un pianto sommesso e dei deboli “non mi uccidere, ti prego” giungevano da sotto l’ elmo del mio nemico.
Strappai a mano nuda la visiera, per poter vedere il volto del mio avversario; il volto che mi trovai di fronte era questo
Al contempo in collera ed impietosito per l’ aria di smidollaggine trasudante da quegli occhi, mi limitai a sferrare un ceffone al malandrino; attesi che si liberasse dall’ armatura, che occupava solo per un quarto con il suo corpo e che aveva riempito di cotone per il restante spazio. Dopodichè lo afferrai per l’ elastico dei boxer, lo sospesi a mezz’ aria mentre ancora tremante e piangente implorava pietà, e lo calciai al volo aldilà della foresta, consigliandogli di non farsi mai più rivedere.
Mi voltai quindi verso i due frammenti di salame, ormai morenti.
Una lacrima mi scivolò lungo la gota sinistra, per il valore da questi mostrato; pregai Odino affinché l’ anima di quel coraggioso e valoroso salame raggiungesse il Valhalla, dove avrebbe degnamente atteso il Ragnarök.
Dopodichè, ancora commosso, posi i resti su una barchetta e li adagiai nel fiume, ed infine incendiai la piccola nave -una piccola piroga montata con i pezzi delle uscite settimanali di Topolino-.
Levai il corno in onore del salume, ne cantai la veglia e, sfinito, rientrai alle mie stanze.
E’ così che è andata, mia Regina, deve credermi.
...
Regina… Per favore, posi quell’ ascia…